La parabola del gran convito – Le scuse

Ma tutti allo stesso modo cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: “Ho comprato un podere e devo andare a vederlo; ti prego di scusarmi”. E un altro disse: “Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi”. Un altro ancora disse: “Ho preso moglie e perciò non posso venire”. Così quel servo tornò e riferì queste cose al suo signore. Allora il padrone di casa, pieno di sdegno, disse al suo servo: “Presto, va’ per le piazze e per le strade della città, conduci qua i mendicanti, i mutilati, gli zoppi e i ciechi”. (Luca 14:18-21)

Notiamo che non sono cose cattive quelle che impediscono agli invitati di accettare l’invito, ma occupazioni umanamente legittime: il lavoro, la vita di famiglia. Inoltre, essi aggiungono delle scuse al loro rifiuto. Si tratta dunque di persone educate.

I farisei a cui Gesù parlava erano delle persone molto religiose e che talvolta mostravano una certa educazione nei suoi confronti. Essi erano l’élite di quel popolo, Israele, che per primo era stato invitato ad entrare nel regno di Dio.

E oggi, non si può forse dire che gli abitanti dei paesi cosiddetti cristiani, evangelizzati fin dall’inizio della nostra era, figurano fra questi invitati privilegiati? Eppure un gran numero di loro risponde con garbata indifferenza: “Non posso … Ti prego di scusarmi!”

Quanto volte abbiamo udito frasi di questo genere: “E’ molto interessante, grazie tante, ma non ho tempo, scusami”; e si trovano dei pretesti per non accogliere l’invito. Eppure la chiamata di Dio non è un’esortazione ad aderire a un gruppo religioso, a una setta. E’ una chiamata a venire a Lui, ad accogliere il perdono, la salvezza, la vita eterna.

Spesso, purtroppo, accade che il vero motivo è che gli interessi personali, le molteplici attività che occupano il cuore e la mente, occultano i bisogni dell’anima. Inoltre, la natura umana non ama Dio, e satana la distoglie tramite cose che, sotto apparenze talvolta serie, non sono frivolezze passeggere, di nessun valore paragonate all’eternità.

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