Quando Daniele seppe che il decreto era firmato, andò a casa sua; e, tenendo le finestre della sua camera superiore aperte verso Gerusalemme, tre volte al giorno si metteva in ginocchio, pregava e ringraziava il suo Dio come era solito fare anche prima. (Daniele 6:10)
Un soldato fu accusato di tradimento. Era stato visto provenire dalla zona dove le truppe nemiche erano appostate. Quando fu portato davanti al comandante, si difese dicendo di essersi appartato per passare un’ora in preghiera.
“E’ una tua abitudine?”, chiese l’ufficiale. “Sì, signore”. “Allora non hai mai avuto tanto bisogno di pregare come in questo momento. Inginocchiati e prega a voce alta, in modo che tutti sentiamo”.
Aspettandosi di essere giustiziato, il soldato cadde sulle ginocchia e svuotò il cuore davanti a Dio. La sua scioltezza, l’umile grido di aiuto e la fiducia in colui che poteva liberarlo, rivelarono che era solito passare del tempo in preghiera. Il comandante disse: “Puoi andare! Nessuno può pregare in quel modo senza un lungo apprendistato. Chi non partecipa alle esercitazioni è in difficoltà quando c’è l’esame”.
Quando il re Dario emise il decreto che obbligava i suoi sudditi a pregare soltanto lui, Daniele non andò in panico. Tornò a casa e; tenendo la finestra aperta, presentò le sue richieste a Dio, come aveva sempre fatto.
Possa “il linguaggio della preghiera” essere per noi così naturale, da sgorgare dal nostro cuore in ogni circostanza!



