E io, fratelli, quando venni da voi, non venni ad annunciarvi la testimonianza di Dio con eccellenza di parola o di sapienza; poiché mi proposi di non sapere altro fra voi, fuorché Gesù Cristo e lui crocifisso. Io sono stato presso di voi con debolezza, con timore e con gran tremore; la mia parola e la mia predicazione non consistettero in discorsi persuasivi di sapienza, ma in dimostrazione di Spirito e di potenza, affinché la vostra fede fosse fondata non sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio. (1 Corinzi 2:1-5)
Annunciare l’Evangelo è importante, ma spesso, quando il Signore ci apre la porta per parlare del Suo messaggio di salvezza, non sappiamo cosa dire o abbiamo paura che le nostre parole siano rifiutate. Inoltre, se chi ci sta davanti è un familiare o un collega di lavoro, potremmo temere che il rapporto sia rovinato per la franchezza della nostra fede.
Quando Paolo arrivò nella citta di Corinto, venne nella “debolezza, con timore e con gran tremore” (1 Corinzi 2:3), ma la sua preoccupazione era per la salvezza di quella gente e non riguardava la sua condizione. L’apostolo non cercò di impressionare i Corinzi con la sua conoscenza affinché ricevessero Cristo come Salvatore. Venne in umiltà, confidando pienamente nella potenza dello Spirito Santo per salvare le anime perdute.
Questo è il modo in cui dobbiamo comportarci nel testimoniare di Gesù: credere che il Signore si serva di noi pur nella nostra paura e debolezza. Smettiamo quindi di pensare a come potremmo essere percepiti o se saremo respinti e ricordiamo che, condividendo il Vangelo, Dio salverà i perduti.