Un detenuto sta lì, in piedi, davanti al cappellano della prigione. Tiene in mano una lettera:
“Signor cappellano, ho voluto vederla per un’ultima volta.” – “Che cosa le capita? E’ per caso ammalato?” – “Sono otto anni che vedo il cielo attraverso le sbarre. Finora ce l’ho fatta. Qualcuno pensava a me, mi scriveva, mi aspettava. Ecco l’ultima lettera. Mia moglie mi ha abbandonato. La mia vita non ha più senso.”
Il cappellano conosce il detenuto. Non è di quelli che simulano il suicidio per ottenere un miglioramento della loro condizione.
“La sua vita da detenuto, ora che lei è abbandonato da tutti, mi colpisce profondamente. Eppure Dio non vuole abbandonarla. La cerca. Vuole incontrarla. Credo sia venuto il momento di rivolgersi a lui. Pregherò per lei e le chiedo una cosa: legga questo Vangelo che le do.”
L’Eterno è buono con quelli che sperano in lui, con l’anima che lo cerca. (Lamentazioni 3:25)
Dopo due giorni, una domenica mattina, l’uomo si trova nella cappella dove il cappellano presenta il vangelo. Il suo viso è raggiante. Nella solitudine della cella di quel disperato, Dio l’ha incontrato. Gli ha dato di più della libertà da lui sperata: la salvezza della sua anima.
Nella mia angoscia invocai il SIGNORE, gridai al mio Dio. Egli udì la mia voce dal suo tempio, il mio grido giunse a lui, ai suoi orecchi. (Salmo 18:6)